Mafia, non luogo a procedere per l’editore Ciancio

Il giudice per l’udienza preliminare di Catania ha disposto il non luogo a procedere per l’editore e direttore de La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, nell’inchiesta in cui era imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Per il gup il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Per il gup di Catania, Gaetana Bernabò Distefano, non c’erano elementi necessari a istruire un processo. Il gup ha prosciolto l’editore e direttore de La Sicilia, annunciando il deposito della motivazione entro i prossimi novanta giorni. L’udienza era stata caratterizzata dagli interventi dei legali della difesa, gli avvocati Carmelo Peluso, del foro di Catania, e Francesco Colotti, dello studio di Giulia Bongiorno.
In precedenza la procura di Catania aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo, ma il gip Luigi Barone in udienza camerale aveva sollecitato nuove indagini.

I pm avevano quindi presentato la richiesta di rinvio a giudizio e nell’avviso di conclusione delle indagini la procura di Catania sottolineava che “la contestazione si fonda sulla ricostruzione di una serie di vicende che iniziano negli anni ’70 e si protraggono nel tempo fino ad anni recenti” e “riguardano partecipazione ad iniziative imprenditoriali nelle quali risultano coinvolti forti interessi
riconducibili all’organizzazione Cosa Nostra” e in particolare a un centro commerciale.

Nel procedimento si erano costituiti come parte civile l’Ordine dei giornalisti di Sicilia, con l’avvocato Dario Pastore, i due fratelli del commissario della polizia di Stato Beppe Montana, ucciso dalla mafia, Dario e Gerlando, con il penalista Goffredo D’Antona, e Sos Impresa, associazione antiracket di Confesercenti, con il legale Fausto Maria Amato.

Firenze, morte Veronica Locatelli: definitiva la condanna per l’ex sindaco Domenici

E’ divenuta definitiva la condanna a un anno e mezzo dell’ex sindaco Pd di Firenze Leonardo Domenici per la morte della ricercatrice Veronica Locatelli, precipitata la notte fra il 14 e il 15 luglio 2008 da un bastione del Forte del Belvedere dove era andata a festeggiare il suo trentasettesimo compleanno. La Corte di Cassazione ha infatti respinto i ricorsi dell’ex sindaco e degli altri due imputati, l’ex dirigente della cultura Giuseppe Gherpelli e Susanna Bianchi, presidente della cooperativa che gestiva l’estate del Forte, condannati come Domenici a un anno e mezzo per omicidio colposo. E’ stato così confermato l’impianto della sentenza di appello, che ribaltava quella di primo grado, affermando che «in nessun modo» Veronica era stata imprudente.

Per i giudici, Domenici, Gherpelli e Bianchi erano ben consapevoli della pericolosità del Forte, dove il 3 settembre 2006 aveva perso la vita lo studente romano di informatica Luca Raso, 20 anni, precipitando nel buio quasi nello stesso punto da cui due anni più tardi Veronica, ingannata dalle fronde degli alberi di Boboli, piombò nel vuoto. Nonostante la morte del giovane romano, il Forte era stato riaperto nelle ore notturne senza che venissero presi provvedimenti seri per impedire le cadute dai bastioni. Per la corte d’appello,
se il sindaco Domenici, Gherpelli e Susanna Bianchi «avessero privilegiato, con ordinaria diligenza, la pubblica incolumità, avrebbero consentito a Veronica Locatelli di vivere». La Cassazione ha ritenuto fondata la sentenza. In aula, assistiti dagli avvocati Enrico Grosso, Giulia Bongiorno, Mario Taddeucci Sassolini e Valerio Valignani, c’erano la mamma e il fratello di Veronica e altri familiari, e c’era la mamma di Luca Raso, Angela Manni.

Compliance, allarme costi dalle imprese

Governance. Dibattito tra esperti organizzato a Roma dallo studio Hogan Lovells

 

«La nuova compliance aziendale: costo o valore?». E’ questo il titolo di una tavola rotonda che si è tenuta a Roma su iniziativa dello studio legale Hogan Lovells. Obiettivo dell’incontro, un confronto di alto livello su come sia cambiata e stia cambiando la compliance nel prossimo futuro delle società e dei gruppi industriali italiani. Le problematiche della legge 231, la definizione dei compliance plans, i costi crescenti a carico delle imprese e soprattutto le criticità da risolvere dopo l’estensione delle norme sulla privacy al raggio d’azione della stessa legge sono stati al centro di un dibattito introdotto da Fulvia Astolfi e Massimiliano Masnada (Hogan Lovells) e a cui hanno preso parte Augusta Iannini, Vice Presidente dell’Autorità Garante Privacy, Gabriella Muscolo, Consigliere Autorità Garante Concorrenza e Mercato, Antonio Matonti, Direttore ufficio legislativo Confindustria, l’avvocato Giulia Bongiorno e Stefano Giberti (responsabile ufficio legale GE Healthcare Italia). Tra i punti su cui c’è stata piena sintonia tra i partecipanti sono da evidenziare almeno due aspetti: la scarsa formazione dei giudici sull’applicazione della legge 231 – con provvedimenti punitivi decisi spesso senza neppure senza nemmeno un confronto con l’azienda o talmente eccessivi da minacciarne la stessa continuità – il carico di costi crescente a carico delle imprese per adeguarsi ai nuovi obblighi sulla responsabilità oggettiva a fronte di una totale mancanza di meccanismi che ne premino il valore. Anche per questo, è emerso dal dibattito, sarebbe più opportuno oggi rivedere la legislazione sui modelli organizzativi piuttosto che spingere sulla necessità di adeguare l’attuale norma in vigore sul valore del cosiddetto “Bollino blu”. Le esperienze riportate ribadiscono comunque la necessità di garantire l’adozione ed il rispetto di modelli comportamentali e di procedure chiare e trasparenti nell’ambito dell’attività aziendale, consentendo di ridurre i rischi di impresa e di creare una cultura della compliance in tutti gli attori della filiera, magistratura e consulenti inclusi. In particolare, «Sia sulla 231 – ha concluso Masnada – sia sulla compliance a 360 gradi, servono consapevolezza e competenza, con piani definiti sulle necessità della singola azienda e non “buoni per tutti”».

Il Sole 24 Ore, 12 novembre 2015

Finanza & Mercati, p. 43

Bongiorno: «Tavecchio provocato. E’ una vittima»

Il noto avvocato difende il n. 1 Figc nel caso “ebreacci” e “gay”: «Registrazione manipolata»

LA NOTIZIA

Carlo Tavecchio passa al contrattacco. Il presidente della Federcalcio ha deciso di affidarsi al celebre avvocato Giulia Bongiorno e denunciare il direttore del sito Soccerlife Massimiliano Giacomini, dopo che il «Corriere della Sera» ha reso pubblico un colloquio in cui Tavecchio parla di «ebreacci» e «gay» con il giornalista. Il n. 1 federale ha diffuso una nota: « C’è un preciso disegno volto a danneggiarmi e, se possibile, a estromettermi: ho chiesto all’avvocato Giulia Bongiorno di denunciare il signor Giacomini che mi ha teso una trappola e, per farlo, non ha esitato a consumare il reato di trattamento illecito di dati personali».

Alessandro Catapano

ROMA

Giulia Bongiorno non è solo un celebre avvocato, peraltro ormai con un lungo percorso nella giustizia sportiva. E’, a suo modo, anche un’attivista dei diritti delle donne. Nel 2011 partecipò, da deputato di Futuro e Libertà, alla manifestazione «Se non ora, quando?», proprio per il rispetto e la dignità femminili. Ma allora perché oggi, detta brutalmente, difende Carlo Tavecchio, quello delle «donne handicappate»? «Chiariamo subito – precisa – : in passato il presidente ha avuto delle uscite infelici, per cui ha subito un massacro mediatico. Anch’io le ritenni sbagliate, poi apprezzai le sue scuse. Ma oggi stiamo parlando di una cosa ben diversa».

Ecco, avvocato: ci aiuti a capire di cosa stiamo parlando. E ci spieghi la sua discesa in campo.

 «Semplice. Tavecchio è vittima di una trappola tesagli da questo Massimiliano Giacomini, che agisce da agente provocatore. Proprio come quei poliziotti che hanno il compito di provocare un sospettato, spingendolo a commettere un reato».

E questo è stato sufficiente a convincerla?

«No, evidentemente. La registrazione è stata realizzata all’insaputa di Tavecchio, e secondo noi, manipolata. Poi passata ad un giornale, non si sa da chi, a distanza di mesi. Oltretutto, ci risultano 41 minuti di conversazioni, mentre noi ne abbiamo potuti ascoltare solo 47 secondi, lavorati ad arte. Dove sono finite le altre parole di Tavecchio, che avrebbero dato tutt’altro spessore alla registrazione? Materiale sufficiente ad ipotizzare il reato di trattamento illecito di dati e manipolazione. Faremo un esposto all’autorità giudiziaria contro Giacomini e ignoti, in cui chiederemo innanzitutto il sequestro della conversazione, in modo da poterla ascoltare tutta».

Insomma, Tavecchio è una vittima. Ma lei ci crede davvero?

«Si. Ci ho riflettuto tre giorni. E a parte la sincerità con cui il presidente si è detto stupito e amareggiato dalla situazione, che sia stato vittima di un trabocchetto mi pare evidente».

Vendetta per i finanziamenti negati?

«Guardate, io devo ancora svolgere le indagini difensive. Ma intanto, posso dirvi che abbiamo tutta la documentazione relativa alle richieste avanzate da questo signore. Inoltre, poù di una persona ha raccontato a Tavecchio dei propositi di vendetta di Giacomini. Li chiameremo a testimoniare. Però, consentitemi, vorrei innanzitutto rimettere le parole al proprio posto».

«Ebreaccio», «non ho niente contro gli ebrei ma è meglio tenerli a bada», «i gay mi stiano lontani», «io sono normalissimo». Sono queste le parole da rimettere a posto?

«Guardi, il problema è il passato di Tavecchio. Sono proprio le precedenti uscite, infelici si è detto, che consentono a Giacomini di provocarlo. Perché, ad esempio, l’”ebreaccio” è detto in modo scherzoso, il presidente lo ha chiarito. E lo stesso immediatamente dice di “non aver nulla contro gli ebrei”. Eppure, estrapolando il termine dal contesto e approfittando dei precedenti, si fa apparire Tavecchio come un antisemita. Ma è esattamente il contrario. Nel corso della registrazione, assistiamo ad un ribaltamento dei ruoli: il presidente non esprime il proprio pensiero, nemmeno nella citazione a sproposito di Eco, ma ripete quella altrui. Ecco, questa magari è stata una leggerezza, sarebbe stato meglio dire subito “no, guarda, non la penso come te”. Anche perché avrebbe detto la verità».

Anche sugli omosessuali?

«Ma certo. Pure qui, nella parte di conversazione che non compare nella registrazione pubblicata, c’è il riferimento esplicito ad una persona che Tavecchio riteneva effettivamente… appiccicosa. Eliminata questa porzione, è ovvio che la considerazione del presidente sembri contro gli omosessuali in generale. Cos’è questa se non una manipolazione del suo pensiero?».

Tavecchio dice di avere le «prove di un preciso disegno volto a danneggiarmi e possibilmente estromettermi». Avvocato, chi sarebbero i mandanti di questo complotto?

«Se avessimo già quest’informazione, avremmo fatto nomi e cognomi. Ripeto, dobbiamo ancora svolgere le indagini difensive. Non so ancora se sia stato un fatto isolato del Giacomini o se faccia parte di un disegno più ampio. Certo, la distanza temporale che passa dalla registrazione, carpita ribadisco, alla sua pubblicazione, peraltro solo una parte, lascia molto perplessi».

Lei dal 2012 fa parte del Consiglio d’amministrazione della Juventus, le cui diatribe milionarie con la Figc di Tavecchio sono note. Non ha avuto problemi ad accettare questo incarico?

«No, questo è un caso specifico che non coinvolge la Juventus. E poi prima di accettare ho informato il presidente Agnelli, che ovviamente non ha nulla da eccepire». E questa è una notizia.

La Gazzetta dello Sport

Sequestro Verbatim, Bongiorno ottiene il riesame

Annullata l’ordinanza del Tribunale di Napoli che aveva confermato il sequestro preventivo per equivalente per 96 milioni di euro

 In data 14 ottobre 2015, la III Sezione Penale della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato da Giulia Bongiorno  per Verbatim, ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Napoli, che aveva confermato il sequestro preventivo per equivalente disposto dal Gip sui beni della società per 96 milioni di euro.

A seguito dell’annullamento con rinvio, dovrà celebrarsi un nuovo esame innanzi al Tribunale di Napoli. La difesa aveva fatto ricorso segnalando molteplici vizi dell’ordinanza gravata, sia con riguardo alla carenza dei presupposti per disporre la misura reale (in relazione a una supposta associazione transnazionale finalizzata alla commissione di reati fiscali e di una truffa in danno della Siae), che agli errori nella quantificazione dell’importo da sequestrare.

Secondo la difesa la Verbatim dovrebbe essere considerata semmai parte lesa (e non già responsabile ai sensi della “231”) in una vicenda in cui sono emerse plurime condotte infedeli poste in essere da parte di alcuni ex dipendenti.

Greggio, pace col Fisco grazie all’avvocato Bongiorno

Ha patteggiato sei mesi di reclusione, convertiti in 45mila euro di pena pecuniaria. Giulia Bongiorno ha messo così fine alla vicenda giudiziaria che vedeva il suo assistito, Ezio Greggio, accusato di reati fiscali davanti al tribunale di Monza.
Il gup Pierangela Renda ha accolto la richiesta di pena concordata con la procura dopo che lo showman televisivo ha firmato una transazione da 20 milioni di euro con il Fisco Italiano. Il con il Fisco era nato a seguito di accertamenti partiti nel 2013 in virtù della residenza monegasca di Greggio, grazie alla quale gli sarebbe stato pagato lo stipendio con regime fiscale agevolato. Residenza che gli investigatori contestavano come fittizia.

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